Cast
Rocco Papaleo (Don Costantino)
Barbora Bobulova (Magnolia)
Riccardo Scamarcio (Arturo)
Sarah Felberbaum (Valbona)
Trama
Don Costantino è stato un prete e ora non lo è più. Si è innamorato, si è spretato e poi è stato mollato. Con le pive nel sacco se ne torna al paese natale, giù a Sud. Reo confesso, trova nella madre un faro! Non una persona saggia che lo guida nella buia notte in cui si è cacciato, ma un faro vero e proprio, esilio coatto per evitare un altro scandalo famigliare dopo quello procurato dalla sorella, scappata con un amante. Il prete nel faro cerca di raccogliere i pezzi, quelli metaforici della sua anima e quelli reali che cadono dal soffitto della proprietà di famiglia da tempo abbandonata. Pensandosi solo in quei domiciliari, scopre di attrarre altri "volontari", come il cognato cornuto con velleità di pianista raffinato, la sorella slovacca della giovane domestica della madre (una ex prostituta), la ditta di ristrutturazione chiamata a saldare il tetto (una ex compagnia di circensi), come la sorella rediviva. Un'accolita improbabile di "ex", personaggi in cerca di nuova collocazione ai quali si aggiungeranno pian piano altri come fossero gli elementi di un banda musicale in formazione, un po' scombiccherata, ma animata da passione ed entusiasmo.
La musica è sempre stata importante per Rocco Papaleo, forse la cosa più importante. Il "gesto musicale" lo ha sempre accompagnato nelle diverse espressioni della sua arte e mestiere, quando comico e cabarettista, quando attore e caratterista per il cinema e il teatro, quando musicista del suo "teatro canzone" e infine quando regista. Il suo stesso raccontare è musicale.
Questa dimensione lavora a diversi livelli anche nel suo secondo film, talvolta in maniera esplicita, tal altra in maniera profonda. Sin dalla prima inquadratura si è immersi nel mood di una narrazione musicale, come fossimo alla presenza di un "cinema canzone", laddove il personaggio, una sorta di crooner disincantato, canta il suo destino e la sua maledizione, non senza ironia e leggerezza. La "voce-off" di Don Costantino ci porta nei suoi mari remoti, come fosse un cuntastorie tra oralità e messa in scena.
Bene, è con questa guida musicale che Papaleo, insieme allo sceneggiatore Valter Lupo, ha scritto e poi interpretato Una piccola impresa meridionale, componendo il quadro con variazioni progressive di temi aggiuntivi, personaggi che si uniscono all'impresa, ognuno con una sua voce e melodia. È così che in maniera più sotterranea gli elementi vanno a congiungersi in un Bolero sudista un po' squinternato che trova e perde i pezzi ad ogni voltar di pagina.
Rispetto a Basilicata coast to coast, film erratico e scomposto, road movie musicale ed esistenziale, canzone scanzonata orecchiabile ma non ripetitiva, Una piccola impresa meridionale ha un'intenzionalità più dichiarata, una partitura dalla scrittura più evidente, anche se tradita da cedimenti improvvisi di fughe e assoli. Immobile il film ondeggia, come lo sfondo marino dietro il suo faro statuario. Mobile è l'intenzione narrativa, rigida è la sua messa in scena. Statica è l'ambientazione (tutto si svolge dentro e fuori dal faro), dinamica è l'entrata dei personaggi che si agitano intorno a quel simbolo dell'isolamento e della solitudine come per esorcizzarne il mandato. Papaleo è un cantastorie ondivago, ti prende per mano e poi ti lascia, ti guida e poi ti abbandona, suona una partitura e poi si perde nella sua variazione, e questo movimento alterno un po' ci piace e un po' ci delude.
La musica è sempre stata importante per Rocco Papaleo, forse la cosa più importante. Il "gesto musicale" lo ha sempre accompagnato nelle diverse espressioni della sua arte e mestiere, quando comico e cabarettista, quando attore e caratterista per il cinema e il teatro, quando musicista del suo "teatro canzone" e infine quando regista. Il suo stesso raccontare è musicale.
Questa dimensione lavora a diversi livelli anche nel suo secondo film, talvolta in maniera esplicita, tal altra in maniera profonda. Sin dalla prima inquadratura si è immersi nel mood di una narrazione musicale, come fossimo alla presenza di un "cinema canzone", laddove il personaggio, una sorta di crooner disincantato, canta il suo destino e la sua maledizione, non senza ironia e leggerezza. La "voce-off" di Don Costantino ci porta nei suoi mari remoti, come fosse un cuntastorie tra oralità e messa in scena.
Bene, è con questa guida musicale che Papaleo, insieme allo sceneggiatore Valter Lupo, ha scritto e poi interpretato Una piccola impresa meridionale, componendo il quadro con variazioni progressive di temi aggiuntivi, personaggi che si uniscono all'impresa, ognuno con una sua voce e melodia. È così che in maniera più sotterranea gli elementi vanno a congiungersi in un Bolero sudista un po' squinternato che trova e perde i pezzi ad ogni voltar di pagina.
Rispetto a Basilicata coast to coast, film erratico e scomposto, road movie musicale ed esistenziale, canzone scanzonata orecchiabile ma non ripetitiva, Una piccola impresa meridionale ha un'intenzionalità più dichiarata, una partitura dalla scrittura più evidente, anche se tradita da cedimenti improvvisi di fughe e assoli. Immobile il film ondeggia, come lo sfondo marino dietro il suo faro statuario. Mobile è l'intenzione narrativa, rigida è la sua messa in scena. Statica è l'ambientazione (tutto si svolge dentro e fuori dal faro), dinamica è l'entrata dei personaggi che si agitano intorno a quel simbolo dell'isolamento e della solitudine come per esorcizzarne il mandato. Papaleo è un cantastorie ondivago, ti prende per mano e poi ti lascia, ti guida e poi ti abbandona, suona una partitura e poi si perde nella sua variazione, e questo movimento alterno un po' ci piace e un po' ci delude.
(MyMovies)
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